lunedì 3 maggio 2010

L'uomo dei barattoli

Prima di iniziare ho due brevi ma necessarie premesse da fare.
La prima.
L'arte americana, in generale, mi è sempre sembrata oscenamente noiosa. Rothko e le sue orride, sgargianti leccate non mi hanno mai strappato più di uno sbadiglio o un fulgido senso di perdita di tempo. Reinhardt ritengo abbia dipinto i più scintillanti esempi di aria fritta di tutto il XX secolo. Roy Lichtenstein non va oltre l'educata sopportazione.
La seconda.
Non mi sono mai sentita a mio agio a scrivere di artisti che conosco non molto bene. Anzi direi che non mi sono mai sentita a mio agio a scrivere di storia dell'arte in generale.
Mi fa sentire un critico.

Nonostante tutto ciò non posso fare a meno di notare quanto la pittura di Jackson Pollock sia una gioia per gli occhi. Non la trovo né profonda, né concettuale, né niente. Semplicemente piacevole.
E' bella, e l'intelligenza con cui i colori sono stati scelti e stesi in una ragnatela pulsante di vernici e smalti la rende ancora più bella.
E' una siepe di rovi scintillanti, un caleidoscopio filamentoso e vivo, un'intera stagione condensata su tela.
Non è pretenziosa.
Non è autoreferenziale.
Contrariamente al mio solito, questa pittura d'azione mi affascina, per la carica di soggettività che porta in sé.
Non esistono due persone in tutto il globo che si muovano allo stesso modo.
I suoi quadri sono la diretta conseguenza di una danza.

Mi piace.









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